13 – L’avvocato del diavolo

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Tempo di lettura: 5 min
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Oggi parliamo di: PM, gradi di giudizio.

 

Bentornati Italiani Veri!

Qualcuno di voi si ricorda per caso l’invito a cena fatto dal nostro Massimo a Maria Pia? 

Nessuno è curioso di conoscere come sia andata la serata? 

Paolo moltissimo e coglie subito l’occasione per domandare. Massimo, però, risponde “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”, (frase che spesso sentiamo nei processi americani) mantenendo il massimo riserbo sulla questione (prometto che seguiranno aggiornamenti) e introducendo il tema della puntata di oggi: termini e concetti legati al mondo della legge. 

L’”ospite mai visto della puntata” – amico d’infanzia di Massimo e suo “collega” nella passione per il triathlon – che ci aiuta a conoscere meglio alcuni termini utili per conoscere e comprendere la realtà della legge italiana: è Omar Hegazi, avvocato che si occupa di diritto penale e di diritto internazionale. Paolo ironizza chiamandolo da subito “avvocato del diavolo”, Omar per correttezza ironizza a sua volta dicendo che è sia l’avvocato del diavolo sia quello degli angeli.

Il nostro Cubo e il nostro Paolo si confrontano circa il significato della sigla PM: Project Manager o Product Manager? Massimo – influenzato dal suo lavoro – sostiene la prima soluzione, Paolo opta decisamente per la seconda…alle loro interpretazioni, entrambe esistenti e corrette, si aggiunge quella di Omar: PM  nel linguaggio legale significa Pubblico Ministero, cioè la persona/organo identificata dallo Stato italiano che ha il compito di garantire il rispetto delle leggi e valutare, di conseguenza, le eventuali azioni penali di un individuo. È una sigla molto utilizzata negli articoli di giornale, così come è: difficilmente si trova riportata per esteso se non nei libri scolastici. Un vero termine da Italiano Vero!

Subito le spiegazioni chiare e precise di Omar colpiscono Massimo e Paolo, che ritorna sull’espressione con la quale aveva salutato il nostro ospite di oggi: “l’avvocato del diavolo”

Cosa significa di preciso? 

Pur essendo molto usata nel linguaggio colloquiale italiano, pochi ne conoscono il significato o meglio l’origine del suo significato. “Fare l’avvocato del diavolo” o “Non fare l’avvocato del diavolo”  sono modi di dire usati per indicare quando una persona, contraria alle idee di chi sta parlando, fa di tutto per smontare la tesi o le idee del proprio interlocutore. L’origine dell’espressione risale alla lingua latina e ai primi secoli della storia della Chiesa: “advocatus diabuli” era la persona, un ecclesiastico (cioè un uomo di Chiesa) incaricato di trovare tutte le obiezioni possibili in un processo di beatificazione. L’avvocato del diavolo doveva, quindi, cercare e trovare delle prove che potessero interrompere il processo di santificazione in corso. È interessante notare come questa espressione, proprio in virtù delle sue radici latine, si ritrovi in altre lingue oltre all’italiano: un esempio è l’inglese “devil’s advocate”, titolo per altro di una nota pellicola (The devil’s advocate)

Massimo e Paolo chiedono a Omar di illustrare i gradi di giudizio dei processi italiani. Omar, in modo esaustivo, ci informa che in Italia ci sono tre gradi di giudizio

Quando inizia un processo, sia esso civile o penale, si è nel primo grado: è l’inizio che, nel settore penale, viene definito “dibattimento” e in quello civile “atto di citazione” e “costituzione delle parti”. 

Si procede con il secondo grado, noto meglio come “grado di appello”: il primo grado è finito, il giudice ha deciso, una delle parti non è contenta e chiede a un nuovo giudice un nuovo giudizio. Questo meccanismo vale sia per i procedimenti penali sia per i civili.  

Il terzo grado, è conosciuto anche come “grado di legittimità”: se una delle due parti in causa non è contenta di quanto ha deciso il giudice d’appello, può chiedere un ulteriore giudizio. Quest’ultimo è espresso dalla nostra Corte di Cassazione, che non giudica le parti coinvolte ma analizza se l’iter procedurale sia stato seguito correttamente e se la legge sia stata applicata. Dopo il terzo grado di giudizio, non ci sono più passaggi superiori in Italia: c’è la Corte europea per i diritti dell’uomo, però Omar anticipa che l’argomento è un po’ particolare.

Massimo e Paolo chiedono a Omar di spiegare un’altra parola che ricorre spesso negli articoli di cronaca italiana: chi è il giudice di pace?

Il giudice di pace è un’altra forma di giudizio che corrisponde per i reati meno gravi al primo grado di giudizio oppure viene nominato per le piccole contravvenzioni (litigi tra tra persone. piccoli reati oppure – nel civile – quando l’ammontare della somma richiesta è molto bassa). 

Ogni processo in Italia si chiude con un giudizio, sottolinea il nostro avvocato: una decisione giudicata come corretta – sulla base della legge – dal giudice. Il giudizio è ben differente dal verdetto, più di stampo anglofono e americano: il verdetto è dato dalla giuria popolare tipica dei tribunali inglesi e americani. Con il verdetto non c’è la decisione del giudice, ma sempre e solo quella della giuria. In Italia, invece, la giuria popolare non esiste ed è solo il giudice che decide l’esito del processo.

Paolo riflette – dopo aver ascoltato le spiegazioni di Omar e facendo emergere il professore che è in lui – sul fatto che la legge italiana e il suo iter siano ormai ben lontani dal modo con cui il celebre avvocato, descritto da Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi”, la gestiva: non è un azzeccagarbugli, bensì la legge e i procedimenti a cui essa dà vita sono molto coerenti, molto puliti e la legge si adopera per organizzare al meglio quella che è la vita sociale e civile di tutti i cittadini.

Il nostro Massimo, dopo aver riassunto i punti chiave dell’episodio, invita nuovamente Omar a partecipare e usando con ironia i termini legali, sentenzia  la fine della puntata di oggi dichiarando conclusa l’udienza…forse – stimolato dal tema di oggi – voleva dire “la registrazione”?!? Omar accoglie con molto entusiasmo l’invito di Cubo a partecipare ai prossimi episodi…non mi resta, quindi, che salutarvi dicendo: “Udienza sospesa, alla prossima!”.

 

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